Fondo Tomaso Vialardi di Sandigliano
- 1875 - 1928
- Note
- Datazione calcolata
Contenuto
- Il fondo è costituito da 68 unità archivistiche, 53 immagini fotografiche (24 delle quali raccolte in un album) e 1 dipinto (ritratto di Tomaso Vialardi di Sandigliano, olio su tela).
Il fondo copre un arco cronologico compreso tra il 1875 e il 1928.
Oltre al quadro del ritratto, due stampe fotografiche e due documenti originali sono stati posizionati nel Museo Biellese degli Alpini (sede Sezione ANA Biella).
Qui di seguito, l'articolo di Danilo Craveia apparso su "Eco di Biella" del 28 novembre 2022.
Gli Alpini “skiatori” del Conte Tomaso Vialardi di SandiglianoUna preziosa donazione svela l’alpinità di un nostro generale
Nel 1902 a Claviere si sciò un po’ di storia in bombetta e penna nera
Documenti, fotografie e il ritratto di un soldato obliato
Venerdì prossimo, 2 dicembre, il Conte Tomaso Vialardi di Sandigliano consegnerà ufficialmente alla Sezione ANA di Biella il ritratto del nonno, omonimo, e il suo archivio personale. Tale donazione assume grande valore, e non solo simbolico, nella ricorrenza del centenario di fondazione della sezione biellese e nella prospettiva della Adunata Nazionale del 2024. Il dipinto, che sarà collocato nel Museo Biellese degli Alpini di via Ferruccio Nazionale, offre l’immagine di un personaggio poco conosciuto che vale la pena di studiare. Tomaso Vialardi di Sandigliano è stato a capo dei primi esperimenti da cui sono nati gli Alpini sciatori nel 1902. Le carte e le fotografie saranno inventariate, riordinate e valorizzate tramite il portale dell’Archivio Storico sezionale. Il fondo Tomaso Vialardi di Sandigliano conserva anche altre testimonianze della vita del Generale di Divisione sandiglianese, tanto nel contesto militare (ufficiale non operativo da trincea, ma logistico da retrovia, eppure di assoluto spessore) quanto in quello civile, dove ha saputo operare da benefattore estraneo dalla ricerca della fama. Non c’è dubbio sulla qualità storico-culturale della documentazione e non mancheranno gli spunti per interessanti percorsi di ricerca, non solo di ambito strettamente alpino.
Lo sguardo è marziale, ma benevolo. Il pittore, anonimo, ha reso bene le fattezze e lo spirito di un vecchio soldato, il Generale di Divisione Conte Tomaso Vialardi di Sandigliano. Il quadro è parte dell’archivio personale dell’ufficiale che il nipote, omonimo, ha voluto donare alla Sezione ANA di Biella. Un archivio non esteso, ma denso e capace di restituire la figura complessa dell’uomo prima ancora del militare. Le tante immagini fotografiche che, insieme a carte e diplomi, costituiscono l’archivio offrono di Tomaso Vialardi di Sandigliano un susseguirsi di ritratti, in età crescente, di un protagonista (niente affatto noto, a dire il vero) della storia militare del Regno d’Italia tra Otto e Novecento e di un testimone di quei tempi di grandi mutamenti nella società italiana. Nato a Sandigliano il 21 gennaio 1863, il Conte Vialardi si spegnerà a Torino il 29 dicembre 1927 dopo un’esistenza in divisa, ma anche al servizio di altri ideali e di altri principi, primo fra tutti la ricerca delle migliori condizioni di vita per i soldati in armi e per quelli in congedo. Mosso da un profondo senso civico e da un altrettanto vero sentimento religioso (che lo guidò nell’impegno concreto e non nello sterile bigottismo), il Generale Vialardi di Sandigliano operò, soprattutto, a favore dei reduci della Grande Guerra per facilitarne il reinserimento nel contesto civile. Compito per niente agevole in un periodo durante il quale il nascente nazionalismo mussoliniano tentava di catalizzare in termini ideologici e politici la difficoltà materiale e la disillusione degli animi degli ex combattenti. La rigorosa condotta aliena dalle pulsioni fasciste, che pure avevano toccato anche il Regio Esercito, e l’equilibrio nell’agire nell’ambito delle istituzioni filantropiche cristiane torinesi (per quanto il marchese Amedeo di Rovasenda, nel discorso “in memoria” letto presso il Centro Nazionale di Torino il 13 gennaio 1928 ne abbozzi i tratti come di un santo laico) sono tramandati tanto dalle sue non numerose carte quanto, e in special modo, da quel “silenzio documentario” che è il prodotto più raffinato di una discrezione al limite del pudore e di essere schivo ben oltre la soglia del riserbo. La sua dipartita fu pubblicata con poche parole e, per quanto riguarda il natio Biellese, piuttosto postume. Fu, questo è il nesso che lega Tomaso Vialardi di Sandigliano con l’ANA, un alpino. Per dodici anni, dal 20 dicembre 1894 al 5 luglio 1906. Capitano aiutante di campo dal 1890, il nobile sandiglianese era di stanza in Sicilia, presso la Brigata “Palermo”, quando fu assegnato al 3° Reggimento Alpini. Dopo due lustri con la penna sul cappello (all’epoca ancora a bombetta…), ottenne la promozione a Maggiore nel 4° Reggimento Alpini (3 aprile 1904). Ma questa pur lunga parentesi alpina non basta a motivarne cotanta memorazione. Il fatto è che Tomaso Vialardi di Sandigliano ha avuto un ruolo primario nella costituzione degli Alpini sciatori, anzi “skiatori” come si diceva allora. Se oggi gli sci fanno parte della dotazione delle Truppe Alpine e se oggi la “guerra sugli sci” rappresenta una specialità degli Alpini in servizio effettivo, si deve alle capacità di quell’ufficiale ardimentoso, ma non meno organizzatore e ponderatore. Sono disponibili, stampate come on line, diverse versioni della storia degli Alpini sciatori, ma alcune fonti sono più solide di altre. E quella più valida in assoluto è quella datata a Torino il 14 febbraio 1902 in forma di “Relazione sul corso di pattinaggio cogli ski” firmata dal Capitano Tomaso Vialardi di Sandigliano che, di quel corso, il primo in assoluto, era al comando. Diciannove pagine dattiloscritte, una tabella allegata di annotazioni quotidiane e il “Programma per gli esperimenti con gli Sky da eseguirsi nell’Inverno 1902” che il 3° Reggimento Alpini aveva in animo di fare fin dalla tarda primavera del 1901. In effetti, l’Ispettorato degli Alpini in data 7 giugno aveva stabilito di “concretare come e fino a qual punto questo mezzo di locomozione sulla neve possa utilmente venire impiegato nei servizi di pace e nelle operazioni di guerra”. Sulla base di tale dispositivo, il Colonnello Felice Amerio, da poco alla guida del suddetto 3° (nei primi giorni del 1902 il precedente Comandante, Colonnello Vincenzo Giachetti, o Giacchetti, aveva lasciato il suo posto per sostituire il Colonnello Trombi a capo delle Truppe d’Africa in Eritrea), aveva attivato il Capitano Vialardi di Sandigliano per “concretare”. Quest’ultimo costituì un reparto di formazione, una Compagnia composta dai tre plotoni di esploratori guide e una decina di aggregati scelti in ragione della loro esperienza di sciatori. In tutto 63 tra caporali e soldati, 3 conducenti, 3 muli, 1 sergente furiere, agli ordini di 3 ufficiali subalterni, cioè i Tenenti Umberto Testa Fochi e Vittorio Asinari di Bernezzo, e il Sotto Tenente Vittorio Viscontini, con tutta probabilità il più esperto di tutti (Oreste Zavattari, di cui si dirà tra poco, sulla “Rivista di Fanteria” del febbraio 1937 scrisse: “Nell'ottobre 1896 il colonnello Ettore Troia, comandante del 3º reggimento alpini, mi incaricava di prendere contatto con l'ingegnere Kind del Club Alpino Italiano – Sezione di Torino per esaminare l'impiego dei «pattini da neve» e per studiare la possibilità di dotarne le truppe alpine. Le prime prove — alle quali partecipò anche il sottotenente Vittorio Viscontini, ora generale di divisione — si svolsero sulle colline di Torino sotto la guida dello stesso Kind, abile sciatore, ardito e appassionato alpinista”). Una settantina di uomini agli ordini di Tomaso Vialardi di Sandigliano che, per un mese, dal 7 gennaio al 7 febbraio 1902, si cimentarono in un continuo esercizio sulle montagne di Clavières (tutte precisamente localizzate e quotate dal Capitano biellese: Grange la Coche, Serre Thibaud, Punta Rascià, Clot Foiron, Col Gimont, Mont Fort du Boeuf, Champlas ecc. con brevi sconfinamenti in Francia, verso Montquitaine, Cima Saurel e il Col du Chaberton). Da Oulx il reparto si era portato a Clavières (sempre scritto alla francese) per accasermarsi in un baraccamento d’appoggio, detto “Caserma difensiva”. Da lì, ogni giorno, gli “skiatori” salivano e scendevano (più o meno telemark), cadevano e si rialzavano, prendevano i tempi di velocità, si misuravano con i ciaspolatori dotati di racchette, esploravano e simulavano combattimenti, alla fine gareggiavano tra loro su manti nevosi di varia tipologia, anche battuti con slitte. Sciavano per non meno di sei ore al giorno. Tutto puntualmente registrato, inclusi i piccoli infortuni, le soste forzate per le avverse condizioni meteo, le specifiche dell’equipaggiamento, e così via. Conclusioni: “L’individuo munito di ski marcia benissimo in pianura e in salita, corre e talora vola in discesa. In un percorso di qualche lunghezza egli è sempre più veloce dell’uomo munito di racchette e fatica meno, molto meno. Non è vero che per l’uso dello ski occorrano terreno o nevi speciali. Occorrono solo uomini che se ne sappiano servire. Il skiatore trova utile impiego in pace ed in guerra, dovunque si richieda celerità di movimento. Non ogni soldato può essere skiatore, perché lo skiatore deve avere equipaggiamento speciale, è bene abbia capacità di guida e deve avere istruzione speciale. Di tutti i tipi di racchette esperimentati, la racchetta meno imperfetta è lo ski; ma lo ski può – qualche rara volta – trovare un ausilio nella racchetta. Senza esitazione quindi, gli Ufficiali che presero parte al corso, unanimi, sentono di poter affermare che l’adozione definitiva degli ski per le guide sarebbe di sicuro e grande vantaggio pel servizio”. C’è una fotografia scattata da un socio del CAI, l’avvocato Guido Cibrario, che documenta quei giorni esaltanti. L’originale è ancora al castello del Torrione, cimelio tra i cimeli di una dinastia di guerrieri e patrioti. Cappelli bianchi, penne nere, sotto gli stivali grossi sci (rigorosamente marca Jakober di Glarona). Vialardi di Sandigliano in primo piano. C’è un articolo pubblicato da Oreste Zavattari, massimo esperto di guerra alpina e allora Tenente Colonnello nel 3° Reggimento Alpini (ne diventerà Comandante nell’autunno del 1907), sulla Rivista del CAI del febbraio 1902 sotto il titolo “Gli ski e i nostri Alpini”, con la foto di Cibrario di cui sopra e con dati analoghi a quelli della tabella Vialardi di Sandigliano, ma non identici, ovvero elaborati diversamente da un testimone oculare. E c’è un ordine del Ministro Giuseppe Ottolenghi del 13 novembre 1902 che sancisce la nascita degli Alpini sciatori. Che sono, se non del tutto, senz’altro molto “figli” del conte sandiglianese, che ci guarda marziale, ma benevolo dal suo ritratto.
Consistenza calcolata
- Documento: 68, Fotografia: 26, Sezione: 2,
Modalità di acquisizione
- Il fondo è stato donato dal conte Tomaso Vialardi di Sandigliano, nipote dell'omonimo conte Tomaso Vialardi di Sandigliano (1863-1927), il 2 dicembre 2022.