La vita effimera del Battaglione Alpini "Biella"
[da "Eco di Biella" 4 novembre 2017, Danilo Craveia]
Il Presidente della Sezione A.N.A. di Biella, Marco Fulcheri, ha pubblicato su "Tucc'un" del dicembre 2012 un articolo dal titolo "...perchè Biella non divenne città scarpona!". E' un ottimo spunto per andare in esplorazione sulle montagne del passato locale alla scoperta di una traccia di antica alpinità biellese. In effetti Biella non è diventata una città "scarpona", ma lo fu, anche se per poco tempo. E in quel breve periodo visse qui un battaglione alpino che portò (quasi) il nome "Biella". Motivo di vanto sarebbe, per noi alpini biellesi, potersi fregiare di tanto campanilistico onore, come è consentito a quelli di Aosta, di Ivrea e di Susa. Biella è stata con una certa continuità, fin dal XVIII secolo almeno, sede di stabile guarnigione di presidio. Si può dire, infatti, che un reparto del Regio Esercito, sardo prima, e italiano poi, ha avuto base in città. Sempre si trattò di "pista pauta" (o di artiglieri da campagna durante la Grande Guerra, nell'ex maglieficio Calliano sul Bolume, che divenne poi la "Scardassi") e nemmeno mai, sommo paradosso, di bersaglieri, che qui sarebbero stati di casa avendoli inventati "Papà Sandro" La Marmora. Gli alpini, che nacquero buoni ultimi nel 1872, avevano tuttavia preso d'assalto il cuore dei biellesi per come si erano comportati contro gli austro-ungarici tra il 1915 e il 1918.
Così in città e nei dintorni era fiorito in tutti un ardente quanto sincero desiderio di vedere acquartierate sotto il Mucrone un po' di "penne nere". Desiderio esaudito. E grande giubilo quando, in data di sabato 15 settembre 1923, fecero il loro ingresso in Biella le due compagnie di fucilieri e il comando del Battaglione Alpini "Levanna" diretti alle caserme ricavate nei palazzi Dal Pozzo della Cisterna (caserma "Principe Amedeo") e Ferrero di Masserano (caserma "La Marmora") al Piazzo. Inizialmente erano previsti 750 uomini e 40 muli della sezione mitragliatrici FIAT, ma la stima si rivelò in prima battuta eccessiva considerati gli spazi disponibili. In realtà arrivarono 180 alpini e quadrupedi in proporzione, tutti agli ordini del maggiore Aymini. Fu comunque una grande festa. La fanteria aveva preso congedo lasciando un vivo ricordo, ma gli alpini erano gli alpini. Occorre adesso presentare il contingente. Il Battaglione Alpini "Levanna" deve il suo nome al Gruppo delle Levanne, le tre cime di circa 3.500 metri che sovrastano Ceresole Reale. Il "Levanna" o anche "Monte Levanna" era una costola del 4° Reggimento Alpini. Secondo www.vecio.it, "porta la nappina bianca e viene costituito nel Deposito del 4° reggimento alpini in Ivrea a fine novembre 1915. Al comando del magg. Giuseppe Cocca viene formata, con reclute classe 1896 e ufficiali e graduati tratti da altri battaglioni, la 132a compagnia alpina". Durante la Grande Guerra il "Levanna" aumentò l'organico e si distinse in numerosi fatti d'arme.
Sempre da www.vecio.it si apprende che meritò due Medaglie d’Argento al Valor Militare con le seguenti due motivazioni. La prima: “I battaglioni Monte Levanna e Aosta, superando l’accanita resistenza nemica e le asprissime difficoltà del terreno formidabilmente organizzato a difesa, ascesero sanguinosamente le rupi del Vodice, impadronendosi della quota 652 sulla quale, con sovrumana tenacia, resistettero, senza cedere un palmo di terreno, a ripetuti, violentissimi contrattacchi, a difficoltà e disagi inenarrabili. (Vodice, 18-21 maggio 1917)”. La seconda: “I battaglioni Monte Levanna e Val Toce, nella battaglia della finale riscossa, attaccando con impeto eroico e resistendo alla disperata irruenza di soverchianti forze nemiche, si coprirono di gloria a prezzo di purissimo sangue. (Monte Solarolo, 24-28 ottobre 1918)”. Per farla breve, un battaglione di eroi. Il medesimo sito attesta che il 5 maggio 1919 il "Levanna" fu sciolto. Poi afferma che il 12 febbraio 1921 fu ricostituito in Biella. Su questa ultima indicazione non ci sono riscontri oggettivi, stante che il "Levanna", come si è visto (le notizie in merito sono quelle di cronaca de "il Biellese" e non c'è ragione di metterle in dubbio) non arrivò al Piazzo che nella tarda estate del 1923. Questa incongruenza può essere spiegata con lo sfasamento cronologico tra la dislocazione teorica dei reparti prevista dall'ordinamento voluto dal Ministro della Guerra, Ivanoe Bonomi, nel 1920 e l'effettivo movimento dei reparti stessi.
Trascorsero l'inverno e la primavera e gli effettivi (umani e non) crebbero di numero, ma sul far dell'estate del 1924 la non ottimale, per non dire improvvisata sistemazione del "Levanna" divenne un problema e si corse il rischio di veder partire gli alpini dopo nemmeno un anno di permanenza. Era, è superfluo dirlo, una questione di soldi. Quando l'Autorità Militare aveva assecondato le richieste di Biella di avere un reparto di alpini l'accordo prevedeva un esborso da parte di Palazzo Oropa di circa 250.000 lire per il riattamento delle caserme del Piazzo. Nel maggio del 1924 il Regio Esercito aveva mutato d'avviso, stabilendo che i due palazzi non erano sufficienti per ospitare anche il magazzino di casermaggio e che la quota parte stanziata dal Comune di Biella doveva almeno raddoppiare perché i lavori sui due stabili sarebbero costati di più. Brutte notizie. Il sindaco Riccardo Sormano non ci mise molto a comunicare che Biella non era in grado di accollarsi un simile carico finanziario, ma le associazioni (in primis l'A.N.A. guidata da Riccardo Delpiano e l'onnipresente prof. Alessandro Roccavilla, presidente della "Pro Biella e Biellese") e l'opinione pubblica fecero quadrato e rivendicarono gli impegni assunti dai militari nei confronti del Biellese. Preso tra due fuochi, il primo cittadino si fece coraggio e accettò l'aiuto dei suoi concittadini, che si mossero per trovare un'alternativa praticabile. Fu un giugno caldo. Anche su "La Stampa" e su "L'Alpino" la vicenda ebbe una certa eco perché i biellesi erano intenzionati a non cedere di un palmo.
Si propose dapprima di riqualificare la vetusta chiesa di San Paolo. Ma l'edificio abbandonato, che occludeva l'attuale piazza 1° Maggio verso via Italia, andava abbattuto per migliorare la viabilità. Allora per dare collocazione al deposito del battaglione si puntò sui capannoni della S. A. Magazzini Generali Alta Italia, ubicati appena oltre la ferrovia, nell'area compresa tra l'Esselunga e la Questura. L'idea, propugnata dall'On. Vittorio Buratti, fu quella giusta e l'Amministrazione Militare si convinse a essere meno esosa nei confronti del Comune di Biella. Inoltre anche il Comune di Andorno offrì la propria collaborazione dichiarando che ben volentieri avrebbe accolto una delle due compagnie del "Levanna" (a quanto pare, però, questa opzione non fu mai veramente adottata). La transazione fu accettata dalle due parti ai primi di settembre del 1924, quando il "Levanna" stava levando il campo estivo piantato nella Valle del Lys. A Gressoney Saint Jean (dove anche la Regina Elena, in vacanza a Castel Savoia, era andata a far visita ai nostri alpini) ufficiali, sottufficiali, truppa e muli (681 uomini e 90 animali) erano già stati avvisati che il rientro sarebbe avvenuto verso Pieve di Teco, ma alla fine si misero in marcia diretti a Biella via Gaby-Piedicavallo. In città si fece nuovamente festa con la certezza che, a quel punto, non ci fosse più alcun ostacolo alla diuturna unione tra Biella e gli alpini. Senza contare che era già stato deciso fin dai tempi del riordinamento Bonomi che anche la denominazione del battaglione dovesse cambiare. Il "Levanna" sarebbe diventato il "Biella".
Alla metà di settembre fu istituito un comitato biellese "Pro Battaglione Biella" con la specifica finalità di far attuare la divisata mutazione e di veder allestito in città un "centro di mobilitazione" (ufficio di leva) in modo che i ragazzi biellesi fossero arruolati nel "Biella". Le sottoscrizioni erano aperte presso la sede del sodalizio, in via Vescovado 15. L'affetto per quello che tutti, al di là della ufficialità, chiamavano già il "Biella" si era diffuso ovunque e anche la Filodrammatica del Circolo Excelsior volle dare il suo contributo replicando uno spettacolo teatrale in onore delle "penne nere". Domenica 10 novembre 1924 al Teatro del Popolo di via Ospedale 15 (oggi via Marconi) andò quindi in scena "Il rinnegato" e il folto pubblico applaudì l'esibizione della fanfara del battaglione alpino del Piazzo. A dicembre il Comune di Biella deliberò la spesa per la locazione del capannone della S.A.M.G.A.I., ma il nome del reparto non aveva ancora subito modifiche. Poco dopo la metà di gennaio del 1925 il "Levanna" uscì da Biella per raggiungere il sito delle sue esercitazioni invernali. Il presidio fu occupato temporaneamente dal 53° Fanteria (stanziato a Vercelli, era la prima volta che "vedeva" Biella, città che diverrà la sua sede dal 1939). Nel maggio successivo i giornali locali diedero la notizia tanto attesa: sabato 23 "il Comando Militare di Divisione di Novara ha comunicato che è stato definitivamente stabilito che il Battaglione Alpino che ha sede in città assuma il nome di Battaglione Biella".
Ma se il nome era importante, più ancora lo erano le condizioni del quartiere. Come ha scritto Marco Fulcheri, "tra nuovi progetti ed aumenti di spesa, il preventivo arriva a sfiorare le 280.000 lire. Il 6 febbraio 1925 la Città di Biella scrive al Comando territoriale che “date le condizioni economiche poco buone del Comune e la necessità e l’urgenza di altre spese improrogabili, non riteneva opportuno impegnarsi nella grave spesa”.". Di nuovo un intralcio economico. In buona sostanza, Biella voleva gli alpini, ma non poteva proprio permetterseli. Per un altro anno il "Levanna", che forse divenne "Biella", o forse no, condivise la vita della città e delle sue valli. Gli alpini del Piazzo non mancavano mai alle gare sportive, alle occasioni solenni e a quelle conviviali. Una splendida, sebbene precaria integrazione. Ma alla fine non fu il vile denaro ad allontanare gli alpini da Biella, bensì un nuovo riassetto del Regio Esercito. Nella primavera del 1926 il Battaglione Alpini "Levanna" fu sciolto per sempre. Sarebbe rimasto a Biella un plotone di guardia che avrebbe aspettato l'arrivo del 68° Fanteria previsto per l'autunno seguente. Il capitano Mario Verona, andornese doc e ultimo comandante della guarnigione, passò il testimone come da consegne il 28 ottobre 1926. Scrisse "il Biellese" il giorno seguente: "il rimpianto per il cessato presidio alpino, ad ottenere stabilmente il quale ancora due anni fa le associazioni e le popolazioni della città e del circondario tanto avevano fatto, erogando per la riparazione e l'adattamento delle caserme e per la creazione di un magazzino di mobilitazione centinaia di migliaia di lire, rimane in questa regione gloriosa di tanta storia alpina, come rimane il disappunto per la delusione subita". Sul fronte del Battaglione Alpini "Biella" si vinsero molte battaglie, ma alla fine si perse la guerra.